Lo sport deve essere etico

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La giunta comunale di Genova ha approvato nelle scorse settimane un codice etico per lo sport per contrastare episodi di violenza, malcostume e discriminazione.

Un documento che dovrebbe ispirare i comportamenti di tutti coloro che partecipano alla vita delle società che decidono di adottarlo: dirigenti, allenatori, dipendenti, medici, atleti, genitori degli atleti, collaboratori.

Alla base del codice ci sono il rispetto della persona, la tutela della salute, la “tolleranza zero” per le competizioni truccate e il doping, l’impegno di accettare sempre, senza proteste e polemiche, le decisioni di giudici ed arbitri.

Il documento del Comune di Genova è perfettamente in linea con l‘idea di sport che il CSI ha da sempre: una reale funzione educativa, soprattutto per l’attività giovanile.

Non è uno slogan teorico ma una proposta concreta che costituisce un’ occasione di crescita personale e di miglioramento della qualità della vita.

Il valore di questo modello si può riconoscere, obbiettivamente, anche considerando il suo “opposto”:

Cosa c’è, ad esempio, …”dall’altra parte del mondo”, in Cina?

Alcuni anni fa il presidente Xi Jinping aveva manifestato l’intenzione di fare del proprio Paese una potenza del calcio mondiale.

Da una parte c’erano grandi aziende che finanziavano blasonate squadre europee, una sorta di “soft power sullo scacchiere globale-internazionale, dall’altra c’era una notevole capacità recettiva, con stipendi faraonici, per campioni stranieri affinchè giocassero nel campionato cinese.

A tutto questo si aggiunse la nascita di centinaia di accademie giovanili: un’iniziativa applaudita con entusiasmo anche dal Ct della nazionale cinese Marcello Lippi.

Ora è tutto cambiato.

Le multinazionali, Suning in testa, fanno marcia indietro su ordine perentorio del potere politico: non ci sono “margini di discussione” e le risorse devono essere riservate all’economia interna.

E’ stato fissato un tetto degli ingaggi per i giocatori stranieri: quasi tutti se ne sono andati dal paese.

Anche le accademie giovanili sembrano aver fallito.

Si vocifera, aggirando la rigida censura cinese, di sedute di allenamento durissime, con metodi autoritari, con allenatori che sanzionano con punizioni spropositate anche minimi errori dei ragazzi.

In questo modo i talenti non possono certamente sbocciare.

Sarebbe quindi dimostrato, per l’ennesima, che gli sport di squadra sono di fatto incompatibili con i regimi dittatoriali e con  metodi  di allenamento più o meno coercitivi.

Parliamo del calcio: è soprattutto divertimento, fantasia, felicità di provare un dribbling, creatività.

Tutte cose che non si conciliano, in particolare per bambini e ragazzi, con tattiche esasperate, ansia di prestazione, specializzazioni in età precoce.

Il “modello cinese” non ci riguarda? Stiamo attenti ad assolverci e facciamoci, umilmente, alcune domande.

Troppi allenatori, nonostante apprezzabili dichiarazioni di principio, non si rendono conto infatti che il calcio è soprattutto allegria e voglia di giocare.

I bambini e i ragazzi, quando finirà l’emergenza Covid, ne avranno ancora più voglia: cerchiamo di non deluderli.

 

 


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