Sport di base sempre più in crisi

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Il CSI è attivo su tutto il territorio nazionale: prima del Covid vantava 14.000 società affiliate, 707 delle quali solo con atleti disabili: ora sono 8.000.

Organizza campionati e tornei in 122 discipline sportive diverse: i tesserati sono 1 milione e 354 mila di cui 571 mila giovani.

Le squadre sono più di 40.000, di cui 18.426 giovanili.

132.000 fra dirigenti, arbitri e tecnici che, fatto salvo un piccolo rimborso sportivo, mettono a disposizione, ogni anno, 7 milioni di ore di impegno gratuito.

Una grande macchina organizzativa, diffusa su tutto il territorio, ferma da quasi un anno.

Si registra purtroppo un calo significativo della partecipazione sportiva e di tutte le attività ricreative.

Il fattore psicologico di paura che pervade la vita sociale si è insinuato anche nello sport.

Per ripartire occorrerebbero finanziamenti a fondo perduto ed un regime fiscale davvero agevolato per le società.

Quelle affiliate al CSI fatturano al massimo 30.000 euro all’anno e dovrebbero operare dal punto di vista burocratico-amministrativo con più tranquillità.

“La politica sembra occuparsi solo dello sport di vertice- dice il presidente nazionale del CSI Vittorio Bosio-nonostante molti discorsi programmatici, un po’ retorici. Di milioni di ragazzi privati della scuola in presenza ma anche del calcio, del basket, della pallavolo non sembra interessare molto”.

Tante parole quindi e pochi fatti.

Una riduzione del reddito potrebbe portare anche ad una minore partecipazione: lo sport non deve essere solo “dei “ricchi”.

Quando si riprenderà si dovrà “fare l’appello” e molti non ci saranno più.

Dopo mesi di stop, con ristori spesso inadeguati rispetto alle spese sostenute, la situazione è sempre più grave.

Anche le prime decisioni del governo Draghi sono purtroppo abbastanza sconfortanti.

Non c’è un ministro dello sport né un sottosegretario ad hoc: è una nomina delicata perché  dovrà essere una figura di mediazione fra le federazioni, gli enti di promozione sportiva e la società  Sport e Salute.

Tre soggetti in forte contrasto fra di loro negli ultimi tempi  che tutelano anche interessi diversi.

In questa fase di stallo rischiano di perderci soprattutto non gli atleti professionisti ma i dilettanti, gli amatori, i ragazzi che svolgono attività di base.

Il nuovo DPCM in vigore fino al 6 aprile sostanzialmente non cambia nulla rispetto ai precedenti.

Piscine e palestre purtroppo resteranno chiuse, tranne che per “gli atleti di interesse nazionale”: analoghe norme per  gli sport di contatto per i quali, salvo poche eccezioni, sono consentiti solo allenamenti individuali.

Nell’ultimo anno si è discusso, forse non abbastanza, sul tema della vulnerabilità fisica e del fatto che  avere un sistema immunitario “adatto” possa essere un vantaggio anche nella lotta al Covid.

“L’attività fisica, se fatta in sicurezza, è infatti uno dei modi più efficaci ed economici- dice Mogens Kirkeby presidente International Sport and Culture Association– per migliorare il benessere delle persone e può aiutare a rafforzare il sistema immunitario”.

Lo sport non è solo un passatempo, o una “vetrina per i campioni” come storicamente in Italia viene considerato.

L’Organizzazione mondiale della sanità raccomanda, come allenamento ideale per mantenersi in forma, 150 minuti di attività di intensità moderata o 75 minuti di alta intensità alla settimana.

Da un anno ormai senza una regolare routine sportiva sia la salute fisica che quella mentale vengono messe a dura prova: crescono i disturbi legati alla sedentarietà, si aggrava lo stress e lo stato d’ansia.

A soffrire particolarmente di questa condizione sono soprattutto i giovani che trovano, nelle attività fuori casa, forme bellissime di socialità ed interazione con i coetanei.

Si spera che tutto questo, dopo un inizio un po’così, entri davvero nell’agenda del nuovo governo.

 


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